John Ridley Stroop pubblicò nel 1935 l’articolo “Studies of interference in serial verbal reactions”, uno studio in cui si analizzava la capacità di processare differenti stimoli che coinvolgevano processi cognitivi diversi. In particolare lo studio originario si concentrava sul conflitto cognitivo derivante dall’interferenza di due processi: leggere una parola e individuare un colore. Il conflitto era generato dal fatto che la parola era essa stessa il nome di un colore. Per quanto Stroop non sia stato il primo ad individuare l’effetto, il suo lavoro divenne così famoso (è ad oggi uno dei paper col maggior numero di citazioni e l’esperimento è stato replicato oltre 700 volte) che si parla appunto di “effetto Stroop”. E oltre alla interferenza fra i processi del linguaggio e il riconoscimento dei colori il conflitto cognitivo è stato declinato anche su altri livelli sensoriali.
Spiegare questo effetto in un corso di Psicolinguistica è semplice, ma limitandosi alle parole nella spiegazione si rischia di vederla scivolare via dalla mente dei discenti senza lasciarne traccia: un paragrafetto da portare all’esame che poi si può tranquillamente scordare. Per una volta in questo corso si è potuto fare di meglio. Il tipico stratagemma per rafforzare la ritenzione delle nozioni è ricorrere ad un aneddoto o una storiellina. O rifare un esperimento. Per una volta si è potuto fare ancora di più.
Grazie all’editore italiano Giochi Uniti è stato possibile coinvolgere gli studenti del corso in un gioco che si basa su quel principio. Il gioco in questione si chiama Fantascatti (titolo originale “Geistesblitz”, di Jacques Zeimet, pubblicato in Germania da Zoch) e declina in una maniera divertente il conflitto cognitivo. Ogni carta rappresenta due oggetti, in colori diversi.
Dalla analisi della carta i giocatori devono capire il compito richiesto ed eseguirlo, più velocemente degli altri. Il conflitto si genera attraverso una regola semplicissima: se un oggetto, dei 5 in gioco, è presente nella forma e nel colore esatto sulla carta, allora il compito diventa prendere quell’oggetto. Ma se questa condizione è falsa, allora la carta è costruita in modo tale che un oggetto sia assente sia per forma che per colore; e in questo caso è l’oggetto totalmente mancante che deve essere preso. L’incertezza su quale sarà il ragionamento da seguire e la sequenza casuale di compiti diretti e indiretti confonde il giocatore.
Nella prima carta, indiretta, la risposta è il fantasma bianco. Nella seconda, diretta, è il libro blu.
Un secondo livello previsto dal gioco è quello di trasformare il compito da una presa ad una espressione verbale: se compare l’oggetto/stimolo che attiva questa modalità di risposta allora il conflitto diventa ancora più ampio non dovendo solo capire la risposta giusta, ma anche a volte inibire una modalità di risposta, la presa, che il più delle volte risulta corretta, il tutto con la tensione competitiva di volerlo fare più velocemente degli altri.
Il gioco mescola assieme troppi elementi per poter essere un esperimento in cui si cerca di isolare una variabile per capire che effetto ha sui processi cognitivi, ma per chi deve apprendere la materia è un buon modo per vedere come questi effetti si possono manifestare, come possono mescolarsi, e anche che impatto può avere l’esperienza e l’addestramento nelle risposte ad un esperimento, tutte considerazioni che un bravo ricercatore deve tenere in mente.
Luisa Lugli
Ricercatore a tempo determinato
Università di Bologna
l.lugli@unibo.it